22 Agosto 2022

L’archeomodernismo e la morte

By admin

Un’esplosione nella notte, vicino a Mosca. Una macchina brucia, dentro il corpo carbonizzato di una giovane donna. Si avvicina alla scena del brutale attentato un uomo sulla sessantina, barba lunga e grigia. Rimane pietrificato, si mette le mani nei capelli, poco dopo lo ricoverano all’ospedale in stato di shock. Sono Darya Dugina, la vittima, e Alexander Dugin, il padre. Probabilmente era lui l’obiettivo dell’attentato, invece è morta la figlia, sotto ai suoi occhi impotenti. Alexander Dugin è stato apostrofato in molti modi dai media occidentali: il nuovo Rasputin, l’ideologo di Putin, l’eminenza grigia del Cremlino. Sospetto che in pochi si siano presi la briga di leggere i suoi scritti (libri, articoli, ecc.) e, come di costume nel nostro mondo, abbiano sparato sentenze senza sapere, per partito preso e con la presunzione che un pensatore russo (slavo) non sia mai all’altezza di uno occidentale. Dugin è conosciuto negli ambienti accademici europei come il teorico dell’eurasiatismo, una corrente di pensiero che vede nell’Europa continentale una maggiore incidenza dei valori spirituali e culturali asiatici rispetto a quelli europei, occidentali e progressisti. Il suo appoggio intellettuale all’invasione Russa dell’Ucraina ha generato forti reazioni avverse, di pancia, emotive ma non la curiosità di conoscere la sua opera e le motivazioni alla base di questa scelta impopolare in Occidente. Bisogna dire, innanzitutto, che Dugin non è affatto l’ideologo di Putin ma è colui che ne ha spiegato la fenomenologia. Occorre avere una gran “fantasia” malata per credere che un pensatore del suo livello abbia potuto influenzare un ex burocrate grigio del KGB, arricchitosi durante lo smembramento dell’URSS con una serie di giochi sporchi e fautore di quel super-machismo di bassa lega che spopola tra i maschi “castrati” dal morente femminismo nell’emisfero occidentale. Alexander Dugin è l’unico filosofo-scrittore che abbia spiegato nelle sue opere, in modo preciso e comprensibile per un occidentale, la Russia moderna e le sue gigantesche contraddizioni. Le conclusioni da lui tratte possono piacere o meno, si può essere d’accordo o in disaccordo, ma di certo vale la pena leggere e conoscere questo prolifico autore. Figlio di un alto funzionario dei servizi segreti e di una dottoressa, proviene da un ambiente privilegiato, tipico dei paesi comunisti, dove si formava l’intellighenzia sovietica. Laureato in filosofia, professore universitario e scrittore, mette in difficoltà i suoi detrattori tracciando una linea di continuità che va da Heidegger ad Evola, passando per Gramsci. Dargli del “fascista” o del “comunista” in effetti è complicato, meglio pensare che sia un pazzo confuso. Uno dei concetti più interessanti alla base della sua analisi filosofica, politica e sociale della Russia contemporanea è l’archeomodernità, condizione nella quale, secondo Dugin, vive la nazione. L’essenza si trova nella stessa società e nel suo modello a due livelli d’interpretazione dei fenomeni e dei principi: in politica, nella cultura, fino alla vita quotidiana. Il nucleo della popolazione è arcaico e vive in una condizione di società tradizionale, mentre ufficialmente lo stato è moderno e occidentalizzato. Costituzione, organizzazione politica e dirigenza rappresentano i sistemi dell’Europa occidentale, ma funzionano in modo diverso rispetto all’Occidente, poiché vengono reinterpretati nella società arcaica. Ecco, quindi, l’archeomodernismo: esternamente moderno, internamente arcaico. Da Montesquieu in poi la modernità europea ha privato il potere di ogni accenno di sacralità. Separazione dei poteri e avvicendamento della classe dirigente disperdono il centro decisionale in organi di governo diversi e in mutamento. In Occidente, però, la dispersione del potere si ferma a livello della classe oligarchica e solo al suo interno c’è una rotazione che include unicamente coloro che sono disposti a seguire le regole dell’élite. In Russia, invece, l’oligarchia è particolarmente instabile e lascia spazio all’autoritarismo e all’autocrazia; ciò non dipende da un singolo usurpatore ma dall’esigenza della società che nel suo nucleo è patriarcale, tradizionale e vede nel sovrano supremo una figura paterna, quasi mistica. Fino al 1917 la sacralizzazione si basava, quasi in modo catecumenale, sugli zar mutuati dall’impero bizantino e trasferiti in Russia, alla fine del XV secolo; però, anche dopo il 1917 questa tradizione si incorporò nei “monarchi rossi” che la proseguirono. Ci fu un culto di tipo religioso nei riguardi di Lenin e una glorificazione di Stalin. Eltsin, figura debole e dipendente dagli oligarchi, fu una specie di zar liberale, ma con l’arrivo di Putin e le sue radicali riforme, il principio autocratico si dispiegò in tutta la sua forza. Il popolo ha acclamato Putin, il sovrano, il “salvatore” della Russia arcaica. Tutto ciò ha scombinato l’élite, gli oligarchi che fanno affari con l’Occidente e ne assaporano i costosi piaceri edonisti. Ma si tratta soltanto di una facciata occidentalista e modernista, non conforme al nucleo arcaico e conservatore. L’oligarca russo-occidentale cerca disperatamente di mantenere questa “modernità” precaria, sperando che un futuro governo debole o un evento catastrofico portino alla distruzione definitiva dell’identità russo-eurasiatica. La federazione russa, emersa nel 1991 dalle rovine dell’URSS, è stata fondata come nazione modernizzatrice e globalizzata. Ed è così che l’archeomodernismo diventa una malattia, una specie di schizofrenia sociale. Di conseguenza la stessa società contemporanea è consapevole di se stessa in modi totalmente opposti. Dall’esterno e dall’alto è una società liberale in stile occidentale; dal basso e dall’interno è una potenza che mira a costruire l’impero con la volontà, con un sovrano, con valori tradizionali e una psicologia conservatrice che rifiuta l’Occidente progressista (LGBT, cancel culture, ecc.) e lo considera perverso. Questa profonda contraddizione genera bugie, conflitti, dolorose distorsioni e nessuna volontà di conciliare il moderno con l’arcaico. Le élite liberali tentano di attaccare il nucleo arcaico, ma trovano l’ostacolo del potere che sta in cima alla società e si basa sulla volontà arcaico-monarchica del popolo. E tutto ristagna nuovamente. Per queste élite l’unica soluzione sarebbe integrare la Russia nell’Occidente globale, salvo poi cambiare idea. L’esempio che fa Dugin a tale proposito è Dimitry Medvedev. L’ex presidente e primo ministro era un liberale occidentale, fautore della modernizzazione e globalizzazione russa, sostenuto dai globalisti americani e dallo stesso Biden. Ora si è trasformato in un falco, scrive post ultra-patriottici e imperialisti che persino il regime di Putin è costretto a censurare. Magari, sostiene Dugin, è soltanto una questione di mero calcolo politico: se non fai appello al nucleo arcaico del popolo, al potere forte e al suo principio di giustizia sociale, non governi. Di fatto, il teorema dell’archeomodernismo è dimostrato. In poche parole, la sua tragedia consiste nel ridurre le soluzioni alla modernizzazione o allo sfruttamento cinico di questo caos mentale: un popolo condannato a una falsa identità. L’archeomodernità è dunque esplicita in Russia e nelle società post-coloniali di Asia, America Latina e Africa. Però anche l’Occidente, magari in modo inconsapevole, ne risulta affetto e dà vita ad un’archeomodernità implicita. Dugin parla senza mezzi termini di un progetto transumanista: cercare di modernizzare l’inconscio occidentale, cioè distruggerlo a favore della macchina (IA). L’intelligenza artificiale riguarda la simulazione della coscienza collettiva, passando per una totale rimozione dell’inconscio collettivo. Una metafora freudiana di grande effetto che consente all’autore di chiarire la sua visione al pubblico occidentale.

Da tutto ciò esiste una via d’uscita secondo Dugin. Riconoscere l’autocrazia, il patriarcato e il sistema autoritario non solo de facto, ma de jure, prima che l’élite occidentale-modernista subordini il popolo e l’arcaico. In questo modo la Chiesa e le istituzioni della società tradizionale riguadagnerebbero la loro posizione dominante nella società, ci sarebbe una rivoluzione conservatrice su larga scala, anche nell’epistemologia (scienza, istruzione, ecc.). Storicamente a questa soluzione tendevano molti politici della Russia zarista ma anche di quella sovietica. All’inizio furono gli slavofili e i filosofi religiosi russi che iniziarono a profetizzarla. Videro nell’archeomodernismo dei Romanov (da Pietro in poi) la grande contraddizione e chiesero un ritorno al modo di vivere “sacro” di Mosca e delle origini del popolo. In epoca sovietica questa linea fu difesa dai bolscevichi nazionali e diffusa grazie all’emigrazione degli eurasiatici. Per superare oggi questo nefasto dualismo, Dugin si augura una vera rivoluzione conservatrice, nella direzione di una piena restaurazione dell’ordine sacro, del popolo e del potere allo stesso tempo.

I miei studi di filosofia mi portano ad apprezzare la profondità e la chiarezza di questo pensatore, senza condividerne le soluzioni e molte analisi. In fondo leggevo volentieri anche Marx, pur essendo un’anticomunista integralista. Che dire invece della varie reazioni dei “professionisti” dell’informazione nostrani? Articoli senza capo né coda, totale ignoranza riguardo all’autore e al suo pensiero, tentativo di descrivere la ragazza bruciata viva come commentatrice politica pro-invasione che, tutto sommato e con un padre del genere, se lo meritava. E giù i commenti compiaciuti e cattivi degli analfabeti funzionali che esultano per la morte, il dolore, la violenza. Talmente idioti, rozzi e incolti che se dovessero leggere un testo di Dugin non capirebbero nemmeno il titolo, però prodighi nello scrivere “ben gli sta” e “giustizia è fatta”. Con un popolo così ignorante, ideologizzato e manovrabile, il potere, in effetti, ha la strada spianata: può fargli bere qualsiasi menzogna che saranno eternamente grati. L’interesse per l’Ucraina, poi, è un altro mistero di contraddizione che neanche Freud riuscirebbe a districare. Quando facevo la badante ne ho conosciute tante di donne ucraine, spesso pensionate (impiegate, infermiere, insegnanti ecc.) che dovevano fare le serve in Italia per mantenere le famiglie in Ucraina, dove non c’è lavoro ma abbonda la corruzione a tutti i livelli. Ebbene sì, ho fatto anche la badante per mantenermi. So scrivere “epistemologico” e persino “escatologico” ma ho cambiato pannoloni e curato piaghe da decubito per anni. Pensa te che schifo le slave dell’Est, non hanno dignità, puliscono culi pur di guadagnare! A questo proposito, in molte mi hanno raccontato che lavoravano in nero, più ore dell’orologio, per una paga da fame e venivano trattate in malo modo. Sempre meglio però di tante altre giovani donne, schiave per strada o nelle cliniche che vendono ovuli e affittano uteri: ci sono persino i cataloghi dove sceglierle. Strani questi occidentali, no? Fino a ieri facevano turismo sessuale a Odessa, pagavano in nero la badante ed elargivano frasi razziste a tutti i “rifiuti” che provenivano da quelle zone; oggi, invece, sembrano cultori del popolo ucraino “libero e felice”, invaso dal perfido orso russo. Magari (pura ipotesi, eh?) se l’Ucraina dovesse ritornare sotto il giogo di Mosca, sarebbe un po’ più complicato avere schiavi a buon mercato e con una certa professionalità. Queste, però, sono pure ipotesi.

Tornando a Dugin, non condivido il suo pensiero in tanti punti e mi sembra esagerata la sua antipatia per il mondo occidentale, visto come il male assoluto. Ci sono tuttavia tanti spunti interessanti nelle cose che scrive e nella passione che mette nel recupero del pensiero e dei rituali tradizionali. Qualche giorno fa ha scritto un pezzo interessante sulla Festa della Trasfigurazione del Signore, chiamata dal popolo “festa delle mele”, particolarmente importante nel mondo ortodosso. Non è solo la fine dell’estate ma la dimensione spirituale più alta del raccolto. Come il lavoro puro e sacro dei contadini produce i suoi frutti visibili e materiali (grano, latte, vino, uova, mele ecc.) così la vita spirituale del cristiano si corona nella contemplazione della Trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor. Triste pensare che il giorno dopo la figlia sia saltata in aria nella sua macchina, in una notte di fine estate, dopo aver partecipato al festival “Tradizione”. Quella figlia battagliera e con idee radicali, laureata in filosofia con una tesi su Platone e studiosa del suo pensiero: perché in modo inconscio o meno, amava la parte buona e nobile dell’Occidente con tutta se stessa.

Ho scelto una foto del mio paese natio, Stridone, per questo articolo. Il campanile e la chiesa, simboli di tradizione e identificazione, illuminati e, tutto intorno, la buia notte.