15 Settembre 2021

Un’estate

By admin

La fine della stagione estiva non ha mai rappresentato un grande dispiacere per me, specie da quando le estati sono torride o dal clima bizzarro, con fenomeni sempre più drammatici e inquietanti. L’estate di questo strano 2021, poi, ha rappresentato al massimo la furia del cambiamento climatico, con situazioni estreme che non fanno prevedere un futuro roseo per la nostra vita sul pianeta. Dai cinquanta gradi in Canada alla spaventosa alluvione in Germania, dagli incendi devastanti in ogni parte del mondo alle palle di ghiaccio della grandine, dal disastro dell’agricoltura (non vi saranno sfuggiti i banchi semi vuoti di ortaggi ad agosto) alla morte in massa delle api, fino alle piogge sui ghiacciai polari; tutto indica che la natura si sta ribellando, ci sta dando un ultimatum piuttosto deciso e l’estate, la cosiddetta “bella stagione”, diventa la fase dell’anno in cui i nodi sembrano giungere al pettine. Ho pensato molto agli anni ’80 in quest’estate anche per me piuttosto insolita; niente vacanze, nessun viaggio, solo molto impegno per i prossimi progetti e per sfruttare al meglio il successo dell’ultimo libro. Però anche un pensiero costante a come la cultura ecologica ha fatto il suo percorso negli ultimi quarant’anni. Alla fine degli anni ’80 un parente di Trieste mi aveva regalato il libro Rapporto Terra. Lo stato ambientale del pianeta, un volume di divulgazione scientifica che metteva in guardia sulle possibili catastrofi ambientali, oltre trent’anni fa.

Ed era da tempo che l’inquinamento dei mari, della terra e dell’aria rappresentava un argomento sensibile, nonostante la guerra fredda e la minaccia nucleare costante. Vinsi il mio primo concorso letterario alle elementari, qualche anno prima, con un racconto in forma di fiaba sul risparmio energetico e la cura del suolo; la mia sensibilità all’ambiente era sviluppata già allora e non è mai mutata. Poi sono trascorsi gli anni, i decenni, e si sono affacciate nuove economie, tanti più consumatori: il rapporto ambientale del 2021 ci restituisce un’immagine offuscata della bellezza della Terra, violentata da inquinanti aggressivi e da una popolazione umana talmente aumentata di numero che non ci sono angoli del pianeta – neanche i più remoti – senza la nostra nefasta presenza. Il caldo che provo adesso, in questo pomeriggio di settembre, seduta davanti al computer e con una bronchite catastrofica, mi sembra talmente anormale che qualsiasi spiegazione negazionista o riduzionista mi farebbe arrabbiare.

Vorrei un miracolo, vorrei che tornassimo negli anni ’80; che avessimo più tempo e non lo sprecassimo senza far niente o facendo poco, solo per far crescere a dismisura i fatturati di certe società. Ed è un pensiero infantile, lo so.

Provo una strana dolcezza per quella ragazzina che dalla campagna istriana era capace di guardare oltre, di non pensare solo a se stessa e di immaginare un futuro e tutti i rischi ad esso legati. Conservo ancora il premio vinto per il racconto sul risparmio energetico e lo smaltimento dei rifiuti; era un libro, Il Mago di Oz, un presagio.

Nonostante tutto, o forse proprio per questo, quest’anno faccio fatica a salutare l’estate. I pochi momenti di svago che mi sono concessa camminando sulla sabbia a Grado, nuotando nel mare di Muggia o sostando sotto un albero a Marina Julia, mi hanno fatto sentire più libera che mai. Da sola o in compagnia ero parte del mondo, della terra e del mare, del cielo e degli astri, come una prosecuzione dell’energia cosmica che tutto trasforma. L’idea della prigione, dei mesi autunnali e invernali con le emergenze, l’Italia divisa in “zone”, le limitazioni e la perdita anche delle libertà più elementari, come quella di sedersi a un tavolo e prendere un caffè senza dover esibire il marchio di un codice QR che neanche nei romanzi più dispotici del ‘900, mi fa inorridire a tal punto che la scelta di una vita da eremita mi sembra sensata.

Così voglio portarmi nel cuore le immagini del mare di fine agosto, col sole basso, la luce attenuata e un caldo anomalo che mi ricorda come tutto possa finire.

Ognuno di noi deve fare il proprio percorso, badare a se stesso, tuttavia senza prescindere dal fatto che siamo interdipendenti e che abbiamo una casa comune, il pianeta Terra, che come ci dà ci può anche togliere tutto.

Se penso alla mia vita nell’ultimo anno, non posso che essere grata al destino che, per una volta, oltre a darmi malattie croniche e spese assurde per contenerle, mi ha dato anche delle belle soddisfazioni. Un libro scritto col cuore e col cervello, per certi versi divisivo (qualcuno mi nega persino il saluto) ma necessario nella mia vita; il plauso di scrittori che ammiro, come Pietro Spirito e Diego Zandel; un nuovo editore col quale ci intendiamo bene e che spero porteremo avanti altri progetti. In effetti ho ciò che mi serve. Eppure, pur non essendo madre, da zia, mi chiedo se i miei nipoti proveranno le sensazioni e le emozioni che ho provato io. Mi domando se vedranno mai il ghiacciaio della Marmolada, se respireranno l’aria ancora pura e frizzante di Stridone, se potranno bere da una sorgente nei boschi, se osserveranno lo spettacolo di un tiglio fiorito con migliaia di api che gli ronzano intorno. Possono sembrare cose di poco conto, ai più superficiali, in realtà rappresentano il senso della vita degli ultimi millenni. Certo, il pianeta muta, e anche banalmente pensando a Grado, secoli orsono la laguna era molto diversa da come appare ora; però è la velocità del cambiamento, la sua brutalità, che ci lascia esterrefatti e dubbiosi sul futuro che ci attende.

Nell’accomiatarmi dall’estate, mi viene in mente l’amata Emily Dickinson: L’estate che non apprezzammo/Tanto facili erano i suoi tesori/Ci istruisce ora che se ne sta andando/E il riconoscimento è tardo. L’estate diventa metafora della vita, un monito ad imparare prima che sia troppo tardi.