Dicembre, tradizioni e celebrazioni
Nel giorno di Santa Lucia, una delle festività più diffuse e sentite in Europa, il culto cristiano si fonde col mito pagano delle tradizioni arcaiche che celebravano il solstizio d’inverno; infatti, prima che il calendario gregoriano venisse riformato, il 13 dicembre coincideva con la notte più lunga dell’anno. Il detto “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia” è legato proprio a questa antica tradizione. Il culto, quindi, potrebbe risalire alla celebrazione celtica dello Yule che salutava il ritorno della luce, ma i legami si possono riscontrare anche in altri culti. Il nostro Natale prende il nome dalla tradizione romana, particolarmente suggestiva. Nel calendario romano il termine Natalis veniva impiegato per molte festività: la nascita dell’Urbe, ad esempio, il 21 di aprile, e in particolare per il Dies Natalis Solis Invicti (Sole Invitto), la festa dedicata alla nascita del sole e riferita, tra gli altri, al dio Mithra. Questa importante divinità fu introdotta a Roma da Eliogabalo e ufficializzata da Aureliano nel 274 d.C., celebrata nell’arco dei famosi saturnali romani che si tenevano dal 17 al 23 dicembre. La festa del solstizio d’inverno era importante per molti popoli che in quel giorno celebravano il sole e le divinità ad esso legate.
Il dio Mithra, in Oriente, da dove proviene il culto, era celebrato quale dio solare dell’ordine cosmico, portatore di nuova luce. Molte sono le teorie di una sovrapposizione del Natale cristiano al culto del sole presso i Romani. Il Deo Soli invicto Mithrae ebbe onori e “misteri” particolarmente sentiti in età imperiale e numerosi sono i monumenti tuttora esistenti a lui dedicati anche in altre parti d’Europa, come in Germania ad esempio. L’imperatore Costantino (280 – 337 d. C.) avrebbe così riunito il culto del Sole (di cui egli era seguace) e il culto di Mithra con il cristianesimo, iniziando la festa del Natale. Anche per altri popoli antichi il solstizio rappresentava un momento importante dell’anno, da celebrare con riti e festeggiamenti.
Echi di questi rituali precristiani si ritrovano ancora nelle usanze dell’albero e del ceppo nel mondo anglosassone. Anticamente in Gran Bretagna la notte della vigilia si accendevano candele di straordinaria grandezza e si metteva sul fuoco un ceppo di legno detto Yule-log o ceppo di Natale. Superfluo ricordare come questo rito si sia tradotto in mille rappresentazioni, anche culinarie, basti pensare al tronchetto di Natale che tutti abbiamo visto e gustato. La tradizione, dunque, si riferisce a Yule o solstizio d’inverno, una delle quattro feste solari dei Celti, assieme a Ostara, equinozio di primavera, Lithà solstizio d’estate e Mabon, equinozio d’autunno. Inferiori a quelle principali, ovvero Samhain, Imbolc, Beltane e Lughnasad, completano la ruota dell’anno celtico che racchiude le stagioni e il concetto mistico di continuità. La festività cadeva il 21 dicembre, in corrispondenza anche in questo caso del solstizio d’inverno. Per i Celti Yule rappresentava il ritorno della luce, del sole che da lì in poi avrebbe iniziato a riscaldare lentamente la terra. Veniva festeggiato come un passaggio di potere tra il vecchio re Agrifoglio, simbolo dell’inverno che doveva morire, e il giovane re della Quercia, simbolo del nuovo anno che sorge, in osservanza del culto degli alberi tanto caro a quel popolo. La celebrazione segnava il passaggio dalle tenebre alla luce, poiché la notte più lunga dell’anno preannunciava un nuovo giorno e le giornate che avrebbero incominciato ad allungarsi progressivamente fino alla primavera. Non appare dunque fortuita giustapposizione, ma consapevole opposizione (o meglio, sostituzione), quella operata dai Cristiani di Roma nel IV secolo; nel solstizio d’inverno sarà sorto il Sole delle anime destinato a sgominare gli dèi falsi e bugiardi dei pagani. Il profeta Malachia aveva già profetato un Sole di Giustizia, e San Cipriano chiamò Cristo vero Sole, mentre Sant’Ambrogio usò la metafora del nuovo Sole.
In Germania la tradizione del Natale, particolarmente sentita in tutti gli strati della popolazione, mostra una fusione tra varie derivazioni pagane dai rituali marcatamente nordici. Molto diffusa è la tradizione svedese dello Julklapp (in svedese Jul – Natale e Klappa – battere). Deriva da un’antica tradizione natalizia, durante la quale la persona, dapprima bussa alla porta (da cui julklapp) e poi lancia in casa il pacchetto con dentro il proprio regalo di Natale oppure con le indicazioni su dove trovarlo. Un’altra suggestiva tradizione è quella dell’Aschhenklaus (Nicola di cenere) riferito a San Nicola da cui deriverebbe la figura di Santa Klaus; un personaggio che vaga per le strade menando botte e frastuono, penetrando fin nelle case. Lo seguono capra e caprone, orso o cicogna e altre figure mascherate, cosparse di fuliggine o cornute. Spontaneo il richiamo ai paesi scandinavi, dove si sono mantenute più a lungo antiche tradizioni grazie ai canti popolari, oracoli, cibi e bevande rituali.
Nordico è poi l’uso del vischio (già sacro ai druidi) e l’alone delle virtù di panacea. Si riconosce la fede ancora pagana nell’onnipotenza della natura, quale si manifesta anche nell’uso di altri sempreverdi: alloro, edera, agrifoglio. La tradizione dell’albero di Natale poi, affonda le radici nel rituale più diffuso tra i pagani nordici che festeggiavano il solstizio.
L’usanza di decorare gli abeti si diffuse rapidamente tra i Celti ma derivava dalle popolazioni vichinghe più vicine all’Artico: la durata imperitura del pino, nonostante la scarsità di luce, generava meraviglia e dedizione in queste popolazioni. In particolare, i Vichinghi ritenevano che l’abete rosso avesse delle proprietà magiche, tanto che il suo potere avrebbe evocato il ritorno della luce solare.
Dunque, i pini venivano abbelliti con ghirlande e frutti, mentre i rami di questo sempreverde si usavano per decorare le abitazioni. L’usanza dell’albero di Natale, così come lo intendiamo oggi, nasce in tempi più recenti ma comunque lontani, nel corso del tardo Medioevo tedesco. Pur avendo incorporato nei propri riti molte tradizioni di origine pagana, la Chiesa vietò inizialmente di abbellire gli abeti il giorno di Natale, preferendo l’uso dell’agrifoglio. La popolarità della ricorrenza però, soprattutto per i popoli nordici, convinse col tempo le istituzioni religiose ad ammetterne l’uso. Pare che la prima apparizione pubblica dell’albero di Natale sia avvenuta a Tallin, in Estonia, nel 1441; qui venne eretto un grande abete interamente decorato. L’usanza si estese in breve tempo alla Germania: nel 1570, a Brema, diversi alberi furono abbelliti con mele, noci e altre decorazioni. Verso la fine del ‘500, in Renania, si diffuse l’uso delle candele per illuminare i rami dell’albero; tuttavia, solo nell’800 si ebbe una vera distribuzione di questa tradizione nel resto d’Europa.
L’albero di Natale giunse a Vienna nel 1816 mentre in Francia nel 1840. Successivamente si diffuse in molte altre nazioni, anche nel Regno d’Italia, ma solo al Quirinale per volontà della regina Margherita. Per una vera diffusione dell’albero di Natale in Italia, occorre attendere il dopoguerra, quando iniziò rapidamente a comparire accanto ai presepi. Nella tradizione istriana l’albero è diffuso dai tempi dell’Austria e non mancava neppure in chiesa. Si andava nei boschi ricchi di pini a prendere le piante più adatte, si addobbavano con frutta, pigne colorate, candele e fiocchi d’ovatta che imitavano la neve. Paradossalmente, la mancanza del sole che vede dicembre spargere diamanti di neve, ghiaccio e brina, era per gli antichi la festa del sole che risorge, in mezzo ai ghiacci dell’inverno del grande Nord.
In paesi come la Svezia le festività natalizie iniziano già il tredici dicembre con la celebrazione di Santa Lucia, culto molto sentito presso la popolazione. Un tempo era una festività prevalentemente religiosa, poi a seguito della riforma luterana, essa assunse e mantenne un carattere di rito familiare. In provincia la chiamavano “piccolo Natale” e nelle città si tenevano (e si tengono ancora) concorsi di bellezza. Un rituale che affonda le radici nel paganesimo e si lega alla figura mitologica della Lussi. Per gli Scandinavi ma anche per altre popolazioni a loro affini, la notte di Santa Lucia dava inizio al mese di Yule, il momento del buio e della tenebra, una specie di ritorno ai primordi del caos dal quale scaturirà la luce. I giorni che vanno dalla notte più lunga a Yule, fino all’Epifania (la germanica Bertha o la mediterranea Diana) sono i giorni del buio e in molte culture, inclusa quella friulana, esiste l’usanza di accendere grandi falò (pignarul) per rischiarare la notte. Si brucia anche il fantoccio di una vecchia, un rituale che segna la fine della tenebra e porta in sé l’inizio della luce che inonderà la terra.
Anticamente si trattava del culto di Jana o Janua, dea che era un cancello di transito verso l’anno nuovo e che trovava un corrispettivo nella cultura romana nel dio Giano/Janus, che diede il nome al primo mese dell’anno. Gli Scandinavi chiamavano la notte più lunga dell’anno Langnatt o Lussinatt, momento buio e pericoloso governato da Lussi (la Luminosa), un’entità femminile che regnava sugli spiriti ed era regina dell’aldilà, con dietro di sé un codazzo di elfi, fate, gnomi e troll. Questa leggenda potrebbe essere legata alla mitologia vichinga – che troviamo esposta nell’Edda di Snorri Sturluson – e racconta della “caccia selvaggia” che Odino conduce d’inverno, o di Bertha (progenitrice dei popoli germanici), figura femminile suggestiva connessa con Lussi ma anche con altri miti lontani, quali le Parche della Grecia, le Norne germaniche, le Lamie baltiche e la Brighit celtica. Per le antiche popolazioni scandinave il periodo di Yule è simile a quello del Samhain per i Celti, ovvero la fase dell’anno in cui il confine tra il mondo dei morti e dei vivi non è definito e gli spiriti o le entità magiche si muovono liberamente.
Nelle leggende popolari queste antiche paure del buio nordico, della notte infinita e del gelo che ricopre la terra, si tramutavano nella credenza che i bambini disobbedienti potessero essere rapiti dalla Lussi – che scendeva dal camino – e portati nel mondo dei morti. Un po’ come la Befana che porta i doni ai bambini buoni e punisce quelli cattivi con il carbone. Lussi era una divinità molto severa, imponeva che durante la sua notte non si svolgesse alcuna attività e vegliava affinché i preparativi per la grande festa di Yule fossero portati a termine. Il cristianesimo ha imposto su questo impianto di credenze e tradizioni il culto di Santa Lucia, ovvero di Lucia di Siracusa nata nel 283 d.C. e martirizzata il 13 dicembre 304, durante la grande persecuzione di Diocleziano. Anche il nome della Santa significa “luminosa” e “lucente”, portatrice di luce e a volte rappresentata ornata da una corona di candele (quattro come le stagioni o dodici come i mesi). Tuttavia, il passaggio da un culto all’altro non è stato immediato, si è protratto per molto tempo e ancora nel Medioevo la credenza degli Scandinavi nel mito nordico era particolarmente sentita. L’esempio della Svezia poi è emblematico, la tradizione, tuttora, è un innesto tra la rappresentazione pagana (le bionde ragazze vestite di bianco con le candele in testa) e la canzone partenopea ottocentesca dedicata a Santa Lucia cantata per la ricorrenza. Ciò che si riscontra in entrambi i culti è l’aspetto terrifico della portatrice di luce. La Lussi, signora dell’inverno, è oscura come una Gorgone e punitiva nei confronti di chi non rispetta i riti, mentre la nostra Santa l’abbiamo vista spesso rappresentata con gli occhi in mano, poiché il suo atroce martirio consisteva nell’asportazione dei bulbi oculari. L’occhio, in molte culture classiche, era un simbolo solare e nel periodo in cui la luce muore, esso viene rimosso per poi rinascere col solstizio o con la festa di Yule o il nostro Natale che vede la nascita del Salvatore, quando si celebrerà il suo ritorno.
Anche in Francia troviamo rituali che affondano le radici in miti simili a quelli narrati, o almeno un tempo era così. Le feste natalizie d’oltralpe avevano un’estensione particolare che andava sotto il “ciclo dei 12 giorni”. I personaggi da festeggiare erano molti: San Nicola, Père Noël (Babbo Natale), Père Chalande (l’antenato di Babbo Natale nella Savoia), Père Janvier (Papà Gennaio), La Vergine, Zia Aria (la Befana). San Nicola è il grande protettore della Lorena, dove lo si raffigurava accompagnato da un aiutante, Père Fouettard, padre frustatore, che punisce i bambini cattivi e aiuta il Santo a distribuire i doni. Molte antiche ritualità sono sopravvissute fino ad epoche recenti, celebrazioni riconducibili alle antiche popolazioni della Gallia. Grandi roghi e fantasie di fuochi venivano accesi nella notte sulle sommità delle colline e decine di giovani vi ballavano intorno. In alcuni paesi dell’Alsazia dei grossi ceppi di quercia, prima di venire accesi, si benedivano e la comunità pregava con devozione: senza dubbio si tratta di un rituale di origine druidica.
Il mese di dicembre lega tutti questi miti, credenze e tradizioni. Il nostro Natale raccoglie in sé l’imponente impianto mistico della religione monoteista; tuttavia, l’influenza delle celebrazioni arcaiche lo arricchiscono di molteplici ritualità, non confinandolo nel puro atto di fede ma trasformandolo nella festa della famiglia e della collettività. Ma come si è trasmutata questa grande ricorrenza religiosa nella società del consumo? A mio avviso sono stati gli americani ad elaborare in tale chiave questa fondamentale tradizione, poi ritornata in Europa secondo le modalità del consumismo. Per gli americani il Natale è un grande rito che si discosta completamente da ciò che era in origine, al tempo dei pionieri quaccheri e puritani che non usavano fare grandi festeggiamenti. Fu la vasta immigrazione tedesca e l’affermazione del cattolicesimo che diedero molta importanza alla celebrazione. In epoca contemporanea il Natale americano supera del tutto il concetto di festività religiosa e familiare per diventare un momento massimamente commerciale: addobbi eccessivi di strade, case e negozi, grandi quantità di luci, stelle luminose, alberi pubblici e, con l’avvento di internet, shopping compulsivo di regali on line. Il regalo, infatti, assume connotati da psicosi: doni utili e inutili, decorazioni bizzarre, scherzose, prezzi di tutti i tipi, per ogni gusto e occasione. Un tempo le poste venivano intasate dalle Christmas Cards, oggi le immagini circolano sui cellulari e sono di ogni tipo. Le manifestazioni pubbliche assumono caratteri imponenti, come la tradizione degli alberi di Natale nelle grandi metropoli: l’albero di Natale a New York al Rockfeller Center, a Boston il grande albero del Common, il giardino pubblico, a Washington le grandi decorazioni della Casa Bianca mostrate al pubblico dalla first lady.
Le antiche tradizioni europee hanno influenzato tutte queste ritualità e hanno resistito per molto tempo, come la cerimonia del Yule Log, l’accensione solenne del ceppo natalizio a Palmer Lake, in Colorado; poi, però, tutto è mutato in chiave commerciale e consumista, ritornando – per così dire – al mittente europeo in forma trasformata.
Termino questo lungo articolo citando Charles Dickens, l’autore che spesso associamo al Natale: E veramente numerosi sono i cuori ai quali il Natale arreca un breve periodo di gioia e di felicità. Quante famiglie, i cui componenti si sono dispersi qua e là lontano, nell’irrequieta lotta per la vita, si trovan riuniti di nuovo e s’incontrano di nuovo a Natale in quella felice compagnia e reciproca buona volontà, che è una così larga fonte di gioia pura e sincera, e così lontana dalle ansie e dalle tristezze del mondo, da essere annoverata, nella credenza religiosa delle nazioni più civili e insieme nelle rudi tradizioni dei più rudi selvaggi, fra le prime gioie della vita futura, largite ai beati e ai felici. Quante vecchie memorie e quante simpatie sopite ridesta il tempo di Natale!
Un pensiero profondo e pregnante, una riflessione che sviscera l’essenza di questa festività, comunque la si voglia vedere e celebrare.