Valentina Petaros, una dantista istriana
La prima volta che ho letto di Valentina è stato diverso tempo fa, quando persino Il Piccolo di Trieste si è scomodato a scrivere un articolo riguardo un attacco di intolleranza linguistica da lei subito durante una turbolenta riunione del consiglio comunale di Scoffie, appena oltre il confine con l’Italia. Valentina fa parte di quei pochi e sparuti istriani di lingua italiana che pretendono di potersi esprimere nella loro lingua a casa propria, come previsto da accordi, e non si arrendono alla definitiva disfatta culturale del gruppo etnico italiano in Istria. Ho letto quel pezzo ed ho provato ammirazione per questa coetanea sconosciuta e senza volto che ha urlato tutto il suo sdegno a chi la offendeva. Ricordo di aver provato anche una certa tenerezza per il suo coraggio donchisciottesco destinato a scontrarsi con tanti muri di gomma, oppure, volando in alto, con i soffitti di cristallo che non si infrangono mai. Dopo anni, per puro caso, ho ritrovato la caparbia donna sul social network più noto al mondo e l’ho vista per un caffè e quattro chiacchiere nelle modalità più vecchie al mondo. Come me anche Valentina è un dinosauro appartenente ad un’Istria che non esiste più, malinconicamente sospesa su quel filo del passato che unisce le culture e le sapienze della nostra terra e che sopravvive forse soltanto nei libri. Ed è proprio di libri che anche lei si occupa, con rigore da studiosa e intransigenza da sognatrice. In una delle nostre conversazioni (che sono quasi sempre sfoghi) mi ha detto: “Ma perché devo fare buon viso a cattivo gioco quando gli altri mi passano davanti, quando penso che c’è gente privilegiata con vent’anni di contributi pagati perché appartenenti alla cricca, mentre io mi sono ammazzata di studio sui libri e trovo ostacoli ovunque?”. Occorre dire, per chiarire il concetto, che se in Italia ci troviamo in una società profondamente antimeritocratica e ingiusta, nelle ristrette comunità delle minoranze questa triste pratica viene estremizzata e, col passare del tempo, porta alla perdita dell’identità stessa sacrificata al privilegio. Lei, dopo anni di vita in Italia, ha scelto di tornare a vivere nel capodistriano, da dove proviene, e di seguitare nella sua lotta estenuante per la cultura. Nulla nella vita di Valentina è stato semplice, ogni conquista, anche piccola, ha comportato sacrificio e spesso dolore. Glielo leggo negli occhi quando la vedo, scorgo quel fondo, quell’abisso di sofferenza che non è possibile mitigare o eludere. Figlia di una coppia di istriani lontani dalle logiche del regime comunista jugoslavo, ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza a chiedersi fin troppi perché e solo ora comincia a darsi qualche risposta. Non ha frequentato le scuole migliori, quelle erano per le élite della borghesia comunista, si è accontentata di una buona scuola commerciale che l’ha preparata alla vita senza toglierle alcuna ambizione. Infatti, dopo essersi laureata in Filologia con argomento dantesco, ha conseguito il master in scienze archivistiche presso l’Archivio di Stato di Trieste. Per un periodo ha insegnato filologia all’Università di Trieste ed ha collaborato con società e fondazioni italiane e slovene, poi la sua anima legata alle radici l’ha riportata in Istria. Qui la vita non è mai semplice, mai lineare o serena, si tratta di lottare per ogni singola cosa e inghiottire tanti bocconi amari. Molti erano e sono gli ostacoli, spesso posti dai “ras” locali di federativa memoria, però il gusto della sfida e della lotta non conosce eguali. Raccontare la Divina Commedia in sloveno, portarla nelle scuole elementari adattandola ai bambini, scrivere dei cani soldato nella guerra, del contrabbando di sale all’epoca della Serenissima, scovare fonti archivistiche inedite per raccontare la storia della nostra terra, sollevare argomenti pruriginosi da orticaria ideologica, sono tutti capisaldi della sua prolifica attività di studiosa e scrittrice. Nel saggio 1918 – 1921 Fuoco sotto le elezioni – Gli incidenti di Spalato, Trieste e Maresego (Luglio editore, 2018) con una valanga di documenti ed evidenze archivistiche meticolosamente raccolte in anni di studi, conficca il suo dito puntiglioso e irriverente in una ferita storica mai rimarginata e, non paga, lo rigira fino a far crollare certe presunte certezze di comodo. Valentina è così, sapientemente provocatrice e abilmente elusiva, senza mai sconfinare nel mistero a tutti i costi.
Dal punto di vista umano, oltre il rigore metodologico della studiosa e l’ordine dell’archivista, si tratta di una donna dalle molte sfaccettature, particolarmente complessa e difficile da comprendere nella sua interezza. Da giovane era una reginetta di bellezza dagli occhi di ghiaccio, spiccava per la sua notevole altezza ed era impossibile non notarla. Anche oggi non notarla è difficile, per quanto lei stessa si rifiuti di crederlo. L’ambito della cultura “alta”, accademica e dottrinale è ancora in mano agli uomini e una studiosa come lei, poco dimessa e molto appariscente, rappresenta una realtà non facile da comprendere. Sì, perché una studiosa zelante dovrebbe essere per forza bruttina, occhialuta in modo ridicolo, lontana da ogni tentazione carnale; mentre la bella imbellettata dovrebbe essere necessariamente stupidina, dedita a trucchi, diete e oroscopi. Valentina, forse senza nemmeno accorgersene, mischia la sua spiccata ironia alla sicurezza nel mostrare le lunghe gambe ben tornite, dosando abilmente provocazione, intelligenza e femminilità. Sono certa che provochi qualche stupore quando decanta Dante nel suo studio, posizionandosi con sicurezza sulla seggiola e mostrando la sua avvenenza, regalando così a chi l’ascolta e la vede conoscenza e presenza. Una boccata d’aria in un mondo intellettuale ancora stantio, noioso e che sa di naftalina. Da qualche tempo i media si sono decisamente accorti di lei, ha rilasciato interviste ed è apparsa in molti programmi, anche della Rai.
Gira l’Italia e l’estero per le sue conferenze, i convegni e gli studi e mi sembra di vederla più felice. Ha un marito e un figlio che adora e quel pizzico d’insicurezza tipicamente femminile che la spinge a migliorarsi sempre. Come ho già avuto modo di scrivere, mi ritrovo in tanti tratti del suo essere e della sua storia, pur essendo diversa. Le istriane si assomigliano sempre e sono costantemente una diversa dall’altra. Di questa studiosa vivace e talentuosa sentiremo parlare parecchio, ne sono certa; tante sfide l’attendono, tanti documenti storici aspettano di essere da lei svelati, per comporre libri e studi che ci aiuteranno a comprendere meglio la nostra storia e le nostre radici.